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Eolo
stelle lontane
CARO SILVANO...
LUCA RADAELLI RISPONDE A SILVANO ANTONELLI

Caro Silvano,
grazie per avere voglia di dibattere su forme e contenuti del nostro fare teatrale, ho sempre pensato che ce ne fosse bisogno. E ho sempre detestato il giudizio dicotomico bello-brutto lasciato cadere con sufficienza senza essere in grado di imbastire un discorso estetico. Questa è la “critica”, che a farla sia il giornalista blasonato o uno di noi (e, aggiungo, ben venga che ci sia per lo meno qualcuno di noi a farla).
Però qualsiasi discorso estetico, qualsiasi critica, per quanto contestualizzata al Teatro Ragazzi, non può essere avulsa dal Teatro e dalla Cultura in generale. Per questo sono molto in sospetto quando si parla di specificità del T.R. Spesso è un alibi per fare cose di scarsa qualità che però vengano considerate con maggiore bonarietà. Non è il caso tuo, Silvano, naturalmente. Il tuo caso però è a mio avviso più insidioso. Tu rischi di creare se non un ghetto, per lo meno una bolla che galleggia nell’aria senza scontrarsi mai con la realtà.
Partiamo dalle toccate ai genitali (che diventeranno credo un topos). Tu lo sai che i bambini hanno una sessualità. Che esistono la fase orale, la sadico-anale e la genitale (comprensiva di complessi edipici e di castrazione). Che Bettelheim ha esaminato le fiabe tradizionali alla luce di simbologie sessuali. Tutta roba che naturalmente viene tenuta ben lontana dai discorsi che si fanno a scuola o tra genitori. Ma allora noi dobbiamo essere i travet dell’animazione che si adattano alle regole del moralismo strisciante e del conformismo imperante?
Lo spettacolo di Cesar Brie, per esempio, è la dimostrazione di come un artista possa (debba) prendersi delle libertà. Sedurre sessualmente gli operatori adulti, ma anche i bambini. Non è pedofilia! E’ che, come noi adulti abbiamo un immaginario infantile che tiriamo fuori quando lavoriamo coi bambini, così i bambini hanno un immaginario adulto. Vivono tra gli adulti, si identificano con figure adulte. Non possiamo immaginare che il T.R. ricostruisca un mondo fatto solo di papà con la cravatta, mamme con la borsetta, maestre, merendine e strisce pedonali. Il mondo evocato da Brie è un mondo dove la fiaba si mescola al teatro popolare al café chantant al noir. Tutto felicemente politically uncorrect.
Sono d’accordo che non è sufficiente che i bambini ridano (anche se quella è una manifestazione di un’emozione) e che troppi spettacoli bamboleggiano, e che ci sono troppe attrici cinquantenni con le treccine a fingere di essere bambine. Ci sono anche troppe attrici che fanno parti maschili, a ulteriore testimonianza di un’Italia dove l’infanzia è quasi totalmente lasciata a madri e maestre: un mondo femminile, iperprotettivo.
Ma se è vero(e io credo che lo sia) che è sbagliato dire che i bambini sono il pubblico di domani, lo è perché i bambini sono già persone, con le loro individualità, e i bambini non sono sempre brave persone, sai, sanno essere crudeli ed egoisti, proprio come noi, e soprattutto non sono tutti uguali. Per questo ho sempre considerato un po’ una forzatura l’indicazione della fascia di età. Perché un bambino non dovrebbe apprezzare Shakespeare o Dario Fo o la danza contemporanea? Un bambino non ha problemi a capire Mozart o Caparezza, Michelangelo o Keith Haring. La fascia di età è utile ai programmatori e agli insegnanti, forse, ma non fa certo giustizia né dei gusti, né delle facoltà percettive o interpretative dei singoli piccoli o piccolissimi spettatori.
Insomma, io non ti consiglierei di toccare i genitali di chicchessia in quarta elementare. Coi tempi che corrono rischieresti la galera. Ma voglio sperare che il palcoscenico, invece, e tutto il campo artistico, sia un territorio di libertà. Non per ammiccamenti gratuiti, certo, non per fare il cabaret televisivo ai bambini. Ma per evocare mondi possibili, che è lo scopo dell’arte. E attenzione, uso il termine arte in modo molto laico, includendovi tutti noi che facciamo teatro (anche o solo) per bambini e ragazzi.

LUCA RADAELLI




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